Invasione vegetale


L’altro giorno inavvertitamente qualcuno, maneggiando tra le cose stipate sul pensile della cucina, fece cadere la busta dei fagioli che andarono rovinosamente a spargersi per tutta la stanza insinuandosi anche nei pertugi più inarrivabili. Inutile dire che quel qualcuno non fossi io ma la mia dolce consorte, anche perché l’unica cosa che faccio io in cucina è mangiare. O forse alle volte capita di lavare i piatti. La nostra arroganza però raggiunse in quell’occasione i limiti del parossismo perché fummo indotti a pensare, dopo una veloce sistemazione, di aver estirpato una volta per tutte il di certo disordine venutosi a creare nonché l’onda vegetale propagatasi all’interno del locale tutto sotto forma di fagiolo.

Ora non ricordo esattamente la tipologia di fagiolo incriminato ma non è importante a questo punto saperlo di per certo. Sta di fatto che i giorni successivi da parte nostra continuammo bel belli la nostra esistenza abituale affacendati come sempre nelle questioni inerenti la nostra sopravvivenza su questo pianeta ingnari del fatto che qualcuno o qualcosa invece aveva già posto le basi per la sua di sopravvivenza, mettendo radici in luoghi a noi inesplorati come può essere uno scolaposate. Dallo scolaposate infatti ora emergeva un getto verde, quasi fosse un piccolo ramo, lungo circa una quindicina di centimetri dal cui si scorgevano già le prime timide foglioline in via di formazione.

Emergeva tra le posate a scolare in posizione eretta quasi voler abbrancare l’aria attorno a sé. Dopo il primo stupore lo presi per una estremità e per un attimo lo tenni a penzoloni sotto lo sguardo stupito di tutti che si chiedevano da dove arrivava quell’ospite particolare. Già immaginavo mia figlia che avrebbe chiesto di tenerlo! Quasi fosse un gattino o una papera. L’unica cosa che riuscì a dire fu : ‘Ma che ci fa quest’intruso a casa nostra senza pagare l’affitto?!!

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Incipit videoludens – Decimo movimento – Il Professore, la cometa


Ennesimo nuovo capitolo dedicato al mio ricco pantheon di improbabili esperienze con i più svariati conoscenti o amici che hanno colorato la mia infanzia ma non solo.

Protagonista di oggi è Tommaso. Un vicino di casa molto particolare che, oltre che essere un bambino con una certa cultura, era anche un vero tuttologo in qualsivoglia campo dello scibile umano. Suo padre era un noto dermatologo, dalle voci pareva fosse uno parecchio potente, in termini dermatologici intendo. Non da meno era il suo figliuolo così attento alle materie accademiche che seguiva con una solerzia davvero invidiabile, al contrario di me che ero un perditempo inveterato dedito per la maggior parte del pomeriggio ai giochi al computer. Sta di fatto che fossi oltremodo affascinato da questo compare e ogni occasione di cazzeggio era buona per provare a chiamarlo.

Fu lui che mi iniziò al tema delle comete. Non è che mi fosse molto chiaro all’epoca questo ambito particolare di cui lui invece pareva essere un vero drago. Mi risuonavano in testa tutti quegli affascinanti ed esotici nomi di cosmici sassi che viaggiano anni luce su e giù per le galassie. Schizzavano come saette da una parte all’altra del cosmo con mirabile stupore di noi poveri terrestri costretti al nostro misero pianetino. Poi un giorno Tommaso se ne uscì con la cometa di Halley. La cometa di Halley sarebbe stata visibile ai nostri sguardi in tutto il suo fulgore a un certo punto avremmo alzato gli sguardi per ammirarla in tutto il suo suggestivo sfarfallio. Ma solo ad una certa ora e un preciso punto della volta volta celeste. Perso questo istante la cometa di Halley sarebbe certo tornata ai suoi impenetrabili abissi cosmici. Un’occasione da non perdere tanto che per vederla la volta successiva si sarebbero dovuto attendere decenni, decenni interminabili in cui le nostre vite potevano uscirne irrimediabilmente mutate.

Magari aspettando e aspettando la nostra passione per le comete sarebbe scemata e tutto quello che allora aveva un sapore suggestivo si sarebbe trasformato in una mera cronaca di un arido sasso sparato a velocità assurda nello spazio. Credo che io e Tommaso fossimo così gasati dal passaggio della nostra cometa di Halley che al momento del passaggio della cometa di Halley vera ci dimenticammo di osservarla. Quel giorno è avvolto da una nebbia indistinta, anzi, mi pare che io e Tommaso nemmeno ci vedemmo in quell’occasione.

1 metro di pioggia – La saga


Ripropongo qui di seguito nella sua interezza un mio racconto che mi accompagnò per svariati post qualche anno fa sempre sul mio blog. Leggete e godetene tutti!

Il sabato aveva tutti i presupposti per essere un sabato radioso, tranquillo, simpatico e soprattutto asciutto. Il sole illuminava i docili pendii del monte alle nostre spalle mentre si percorreva la statale a velocità sostenuta, muliebri cinguettii di pettirossi ci accompagnavano dolcemente alla nostra meta facendoci sognare di giornate assolate a rotolarci tra gli sterpi. Visioni vagamente pastorali prima di quello che si sarebbe trasformata in un’ecatombe di acqua, terra e fulmini. Sto parlando del mio sabato, passato al bancone di un bar con una birra media aspettando che spiovesse.

Ci stavamo godendo appieno la giornata che si prospettava come splendida. C’era in ballo questo appuntamento a una certa ora al parco sotto un certo gazebo del bar per aperitivo. Arrivati sul posto ci accorgemmo immediatamente che  il baccanale era in pieno svolgimento, la birra scorreva a fiumi il tizio del catering distribuiva pizzette ai presenti come fossero frisbee. Sotto la tettoia del bar era un gran fracasso musicale perché in quel momento avevano incominciato i suonatori, un complesso di guitti con pantaloni corti occhiali da sole e scarpe eleganti da passeggio. Con un’ora e un quarto di ritardo arriva l’amica della mia ragazza con il suo cavaliere visibilmente scosso, pensavo fosse solo un po di stordimento alla vista della mia barba allo stato brado. Invece forse presagiva la situazione che ci si sarebbe profilata di li a poco.

Notavo infatti che con fare furtivo continuava, come un comandante a bordo di una corvetta militare, a scrutare l’orizzonte, a saggiare la densità dell’aria, la direzione del vento. Stavo per chiedergli secondo lui in che direzione era il nord quando incontrai un mio conoscente che quella sera suonava proprio li sotto la tettoia, al ché capii che saremmo rimasti bloccati all’interno della festa finché loro non si fossero esibiti. Ma il buon Dio provvedette in altra maniera. Verso le 20.55 un forte vento iniziò a spirare da nord-est, il comandante di corvetta si era trasformato ora in un moderno Achab, vedeva il male dappertutto, incominciò ad avvisarci con velati messaggi di sventura riguardanti le condizioni atmosferiche. Disse che se le cose non miglioravano di li a cinque minuti se ne sarebbe andato. Disse che a costo di lasciare sola la dolce consorte lui avrebbe levato le tende perché le cose sarebbero volte certamente al peggio. Cercai di sdrammatizzare con una frase tipo Baci Perugina sulle mezze stagioni. Di li a poco scomparve e nessuno più lo vide.

Chiesi a quel punto alla mia lei di allontanarci un secondino dal fracasso della festa per renderci conto meglio delle reali condizioni del cielo che ad una rapida analisi si rivelò plumbeo come la morte e carico di fulmini e saette. Nel mio sfacciato ottimismo dichiarai che non c’era nulla da temere, si sarebbe trattato di un fottuto acquazzone pre-estivo e nulla più, risoltosi in una quindicina di minuti. Nulla di preoccupante quindi. Come in risposta alle mie parole le nuvole al di sopra le nostre teste iniziarono a riversare sulla tettoia litrate di acqua al secondo, le cateratte dei cieli si aprirono con gran fragore sul gazebo. A quel punto ognuno dei presenti iniziò a cogitare una scusa per potersene andare, chi andava a cenare la seconda volta, chi aveva la mamma ammalata scappava in gran fretta, chi aveva il turno serale e quindi proprio doveva lasciarci, la nostra amica decise che sarebbe andata in pizzeria a spararsi una quattro stagioni con picchio pacchio.

Io ero invece dannatamente bloccato dalla promessa fatta al mio conoscente di rimanere, qualsiasi cosa fosse successa! Volevo essere come Acquaman, trasformarmi in una nuvoletta di vapore acqueo e scappare non visto da quella situazione incresciosa. La situazione infatti faceva acqua da tutte le parti, come la tettoia sopra di noi. Iniziò infatti a piovere da ogni lato, dai fianchi e da sopra grazie a delle intercapedini che lasciavano filtrare l’acqua, ci accalcammo tutti come sardine verso il centro del gazebo mentre fuochi e fulmini ci saettavano attorno. Guardai la mia ragazza negli occhi e vidi una patina di disperazione sul suo volto! Decisi quindi per una birra media a testa con patatine.

Mentre mi ingollavo la mia razione di patate pensavo al fatto che ci stavamo perdendo nel flusso cosmico degli eventi, non avevamo a quel punto più presa su accadimento alcuno, sballottati, triturati, avviliti, come eravamo in quel momento. Eravamo alla mercè degli elementi primordiali senza possibilità di ritorno, probabilmente avrebbero trovato le nostre carcasse sotto 12 metri di terra tra un migliaio di anni, antiche e gloriose vestigia di un tempo che fu. Il solo pensiero di uscire all’aria aperta metteva alla mia lei una paura da cacarsi sotto. Ma dopo un’oretta di banco bar decidemmo di uscire ad ogni costo.

Verso la Libertà

Finita la scorta di patatine decidemmo di levare le tende ad ogni costo. Il barista aveva però chiuso accuratamente la porta, ma noi decidemmo pure di forzare il blocco. Il figuro si era dato da fare per barricare ben benino l’uscita e a questo scopo si era impegnato a sbarrare la strada con ogni sorta di materiale che il vento impetuoso gli aveva portato vicino, fusti di birra vuoti, tronchi d’albero, balle di fieno e quant’altro potesse evitare una fuga repentina.

Preso dallo sconforto a quella vista mi venne l’idea di prendere un bambino con il gelato in mano che stava passando accanto al banco in quel momento e usarlo a mò di ariete, non ci avrebbero presi tanto facilmente quindi ma ci avrebbero accusato comunque per maltrattamento di minore. Dopo essermi assicurato della presenza della mia ragazza, decisi per l’azione e allungando la mano al di là del bancone presi un caschetto da ciclista che stava accanto ai bicchieri. Lo calzai ben benino in testa. Il seguito degli eventi si susseguì in maniera forsennata, vuoi per la craniata che detti contro la porta di ingresso vuoi per la birra doppio malto che stava facendo effetto.

Comunque forzare il blocco non fu difficile, iniziai a caricare di gran velocità, riuscii con un balzo a passare i detriti depositati prima dell’ingresso e andai a cozzare in pieno contro la vetrata della porta che si aprì scardinando il lucchetto. Una volta accortasi della presenza di un varco la marea umana del bar iniziò a scalmanarsi d’un tratto. Anche chi mangiava ai tavoli si alzò in tutta fretta per poter uscire, io mi ero già guadagnato il primo posto del varco. Ero in pole e niente mi avrebbe portato indietro.

Allungai un braccio verso la mia lei ma la vidi che si stava liberando dalla presa del barista infoiato, dal passaggio filtrava una corrente maledettamente forte. Con uno strattone liberai la ragazza dalle grinfie del bruto assalitore che come un ragno morto stramazzò a terra con il vassoio a fianco. Feci appena in tempo a gridargli … “DI QUAAAA!” che fummo subito fuori, catapultati verso l’esterno come il risucchio di un immane imbuto.

La Grande fuga

Ci trovammo quindi subito fuori a correr all’impazzata tra la pioggia, cadevano gocce grosse quanto un Chiwawa. Mi vennero allora alla mente due cose: la scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan” durante le prime fasi dello sbarco e la storia del tizio che riusciva a schivare le gocce di pioggia, anche io volevo essere come lui in un momento come questo. Mi vedevo infatti adepto di qualche disciplina orientale, di qualche confraternita segreta, un ninja furtivo e scattante, qualcosa di simile mi venne in mente.

Quello che riuscì ad ottenere fu solo una piccola storta in un’asperità del terreno mentre stavo correndo che mi galvanizzò a tal punto che cominciai a correre più veloce di prima lasciando indietro la mia ragazza. Mi girai ed in lontananza vidi le imposte del bar che avevamo appena lasciato che sbattevano furiosamente al peso della marea umana che stava cercando una via d’uscita, probabilmente  il barista era stato giustiziato sul posto ed ora i vivi pasteggiavano con il suo cadavere ancora caldo.

Girai lo sguardo per scacciare l’orrore quando all’improvviso inciampai su qualcosa di morbido che aveva le fattezze di un torso umano! Caddi in avanti ingoiando terra e detriti. Il torso non era solo un torso, era dotato di gambe e braccia. Probabilmente una goccia di pioggia straordinariamente grande era piovuta dal cielo e aveva fracassato il cranio del poveretto. Ma mi accorsi che il corpo aveva il capo ancora ben saldo sulle spalle.

Il poveretto aveva ingoiato troppa pioggia durante il percorso, ingerendo una tal quantità d’acqua lo stomaco doveva essergli esploso come un gavettone senza arrecargli però alcuna ferita esterna visibile. Il corpo del malcapitato iniziò a muoversi, probabilmente un’ultimo spasmo di morte prima della decisiva dipartita. All’improvviso mentre ero ancora a terra una mano mi afferrò per i pantaloni e mi trasse a sé, vidi la testa del cadavere con le sue labbra avvizzite che si rivolgevano a me con parole gorgoglianti: «… per di là! Prendete il mio mezzo!», e stramazzò al suolo come una merda secca.

Nonostante la pelle avvizzita, il volto cadaverico, le pustole e le varie ecchimosi che gli ricoprivano il viso riconobbi in un baleno lo sguardo terrificante del Capitano Achab! Egli aveva fiutato il pericolo ed era capitato tragicamente al centro della tempesta. In un lampo mi balenò la speranza di salvezza che il Capitano ci aveva donato, la sua morte non sarebbe stata vana. Iniziai a frugare nel suo corpo mentre la mia ragazza mi raggiunse proprio in quel momento, ora la fortuna sembrava deviare bruscamente dalla nostra parte, recuperate le chiavi un nuovo orizzonte di salvezza si sarebbe aperto. Ricominciammo la folle corsa verso l’auto del buon Capitano mentre lingue di fuoco ci lambivano d’appresso.

Ritorno a casa

La dipartita del buon Capitano aveva aperto sui nostri orizzonti strade non ancora percorse caratterizzate dalla felicità di veder palesate or ora le speranze di un ritorno a casa. In poche parole avremmo usato la macchina di Achab per scappare da quel maledetto inferno di acqua e fuoco. Ma se tra dire e il fare c’è sempre di mezzo “e il”, tra la nostra salvezza e la situazione in cui versavamo momentaneamente c’era un mare di merda. Io da parte mia da buon segugio di cacca come sono ero scettico che tutto si fosse concluso in maniera così semplice e spensierata (si fà per dire).

Sentivo ancora il puzzo marcescente della sventura e della disgrazia incombente. L’olezzo della morte era ancora davanti ai nostri passi, qualcosa di molto grosso che ancora non si era palesato.Un’avvenimento imprevisto poteva cambiare in un battibaleno il corso delle nostre vite! Infatti mentre correvo a perdifiato verso il parcheggio pestai una cacca enorme. Finalmente giungemmo al parcheggio che era tutto un pantano visto i litri di pioggia copiosa che stavano cadendo dal cielo, una gran quantità di macchine parcheggiate da far paura si trovavano qui. Io non avevo mai visto l’auto del capitano quindi mi fermai un’attimo per decidersi sul da farsi. Mentre pensavo notai lo stato pietoso del parcheggio, alcune auto stavano sprofondando nella melma, alcune stavano per essere inghiottite come nelle sabbie mobili e versavano in posizione verticale come delle immani baleniere pronte all’affondamento.

In dei punti il fango formava dei terribili gorghi roteanti che risucchiavano persone e ne risputavano le spoglie membra. Una visione raccapricciante di morte e spavento quando mi venne in mente di spingere il pulsantino della chiave per rintracciare l’auto del Cap. Una lucetta arancione baluginò tra la pioggia, presi per la mano la mia ragazza dirigendoci verso quella. Con mio sommo stupore l’auto del Capitano era una lussuosa Mini con tanto di sponsor, sulla sua sommità aveva una specie di enorme lattina messa per traverso, una sorta di totem rituale appartenuto alle antiche civiltà scomparse. Le rune sul totem recitavano a chiare lettere “Red Bull”. Salimmo sullo strano veicolo quando ci accorgendo accendendo i fari che il terreno attorno all’auto era devastato dai cadaveri di quelli che avevano perso la vita nel disgraziato diluvio. Avremmo dovuto passare con l’auto sui loro corpi, ero attanagliato da questo pensiero quando un braccio ruppe il finestrino assestandomi un cazzottone sullo zigomo sinistro. Nel girarmi scorsi la sagoma con il volto tumefatto di una creatura in via di decomposizione che ci stava attaccando, la mia ragazza era già stata tirata giù dal mezzo a suon di strattoni e urlava come una vecchia comare.

D’improvviso un lampo squarciò il cielo mostrandomi il profondo orrore in cui eravamo capitati, tutto intorno a noi le creature dell’oltretomba sciamavano dalle profondità dell’Inferno verso di noi, con passo insicuro e malfermo l’orrenda guarnigione della putrefazione si apriva la strada tra la terra, tra le zolle di terriccio e tra le pietre, ed erano solo per noi, erano giunti per scannarci e fare di noi il loro pasto. Possibile che il buon Achab ci avesse condotto in questo delirio di morte e disperazione? Dannai l’anima sua pensando a come vendicarmi quando una creatura mi spinse con tutta la forza di nuovo dentro il mezzo mentre cercava di mordermi il polpaccio. Inavvertitamente spinsi con il gomito un pulsante ben in vista sul cruscotto e il suono di un subitaneo scatto giunse al mio orecchio. La mia ragazza mentre combatteva con la sua creatura mi fece cenno con il dito! Qualcosa si era staccato dal mezzo. Sferrai un calcio in testa al morto che mi stava minacciando e mi sporsi all’esterno per scrutare quello che stava accadendo.

Il grosso totem cilindrico si era staccato dal tetto del mezzo ed era franato a terra con un gran tonfo, spezzandosi in due tronconi dal suo interno era iniziato a fluire fuori un terribile liquido dolciastro dall’odore insopportabile. In pochi secondi aveva già formato una grossa pozzanghera che aveva corroso la vegetazione circostante. In un baleno alla vista del liquido le creature iniziarono straordinariamente ad indietreggiare come impaurite, uno di loro sommerso dal liquido fino alle caviglie iniziò a contorcersi in spasmi prolungati di dolore mentre il liquido gli corrodeva i piedi, un fumo pestilenziale saliva dal corpo mentre il misterioso fluido faceva il suo terribile effetto.  Il gruppo si stava ora disperdendo. Come in preda ad una orrenda follia, i sinistri emissari dell’oltremondo ci stavano abbandonando. Tutto grazie al liquido infame. A quella vista strattonai per un braccio la mia dolce metà per riportarla in auto, premetti l’acceleratore a tavoletta e scappammo su per la statale imbarcando tre o quattro bestie.

La Saga di Korvac – Ultime letture


Tratto da Wikipedia:

Michael Korvac è un tecnico dei computer originario dell’universo alternativo di Terra-691. Quando il sistema solare viene invaso nel 3007 dagli alieni Badoon, Korvac tradisce il genere umano e si unisce agli invasori. Dopo essere stato sorpreso a dormire sul lavoro, i Badoon per punizione fondono il suo corpo con una macchina, rendendolo un cyborg.

Successivamente viene mandato indietro nel tempo dal Gran Maestro dell’universo, il quale voleva arruolare Korvac per combattere Dottor Strange e i Difensori.

Korvac perde di proposito il combattimento in modo da poter analizzare il potere cosmico del Gran Maestro. Dopo aver ottenuto delle nuove abilità dalle analisi, Korvac uccide i Badoon e pianifica la conquista dell’universo. Korvac recluta un gruppo di alieni chiamati Minions of Menace e tenta di far diventare il Sole della Terra una nova, ma viene sconfitto dai Guardiani della Galassia e il dio del tuono Thor.

Korvac viaggia attraverso lo spazio-tempo, finendo nell’universo Terra-616. All’arrivo scopre l’astronave di Galactus. Nel momento in cui cerca di scaricare la conoscenza di Galactus dall’astronave, viene inondato dal potere cosmico assumendo le sembianze di una divinità. Si crea una forma perfettamente umanoide. Atteggiandosi come un terrestre di nome Michael, si reca sulla Terra con l’intenzione di farla diventare una sua utopia. Ma, nel frattempo, viene inseguito dai Guardiani Della Galassia, che, per fermarlo, uniscono le forze con i Vendicatori.

Uno dei Guardiani, Falco Stellare, trova Korvac: i due ingaggiano un combattimento segreto. Korvac disintegra Falco Stellare per poi riportarlo in vita ma privo dell’abilità di percepire la sua presenza. L’anziano dell’universo, Il Collezionista prevede l’arrivo di due esseri in grado di sconfiggere gli antichi (Korvac e Eternal), per cui rende sua figlia Carina un essere molto potente da usare contro di loro. Dopo che Carina incontra Korvac, i due si innamorarono. Il Collezionista viene sconfitto dai Vendicatori dopo aver fallito il tentativo di collezionarli e proteggerli da Korvac, il quale dopo aver scoperto il piano dell’antico lo disintegra.

Iron Man rintraccia Korvac in un quartiere residenziale in Forest Hills Gardens nel Queens, New York I Vendicatori, aiutati dai Guardiani Della Galassia, affrontano Korvac e Carina, che, nel frattempo, avevano assunto l’identità di una coppia appartenente al ceto medio. L’inganno di Korvac viene rivelato quando Falco Stellare non riesce a vedere l’uomo chiamato Michael. Sapendo di essere stato scoperto e che entità come Odino e l’Osservatore sono consapevoli della sua esistenza, Korvac è costretto a combattere.

Korvac sconfigge molti eroi, finché non viene colto alla sprovvista ed indebolito da Captain America e Wonder Man. Anche se riesce ad ucciderli, Korvac viene ulteriormente indebolito dall’attacco combinato di Thor, Iron Man e Falco Stellare. Sentendo che Carina dubita di lui, Korvac si suicida. Carina, furibonda, attacca gli eroi rimasti per poi venire uccisa da Thor. La battaglia è osservata da Dragoluna, che comprende che Korvac voleva aiutare l’umanità, nel momento in cui, prima di morire, ha resuscitato sia i Vendicatori che i Guardiani.

Incipit videoludens – Ottavo movimento, il ladro


Per un breve periodo io e il ragazzo del Mahjong ci frequentammo. Anche se non proprio in maniera assidua, però ciò non toglie che il nostro rapporto nato a suon di gettoni in sala giochi si reggeva autonomamente. Anche perché incontrarsi e scambiare due chiacchiere sull’ultimo sparatutto o platform che fosse era diventata un’esperienza giornaliera. Non di rado si usciva dalla “sala” pure per fare qualche scorribanda metropolitana. Non mi importava che egli avesse dimostrato platealmente di essere un piromane inveterato, nonostante tutto mi stava simpatico lo stesso.

Ma a breve sarebbe accaduto un evento che mi avrebbe fatto cambiare idea su di lui. Un giorno ci recammo dal tabaccaio del centro città per non ricordo quale commissione. Mentre la signora era intenta sul retrobottega egli in maniera fulminea mi disse :”Prendi quella gomma!”. Riferendosi a una gomma da cancellare che si trovava in bella vista sul bancone. Io con fare interrogativo lo guardai cercando di afferrare quel che aveva intenzione di comunicarmi.

“Prendi quella gomma allora!”, ripeté nuovamente. A quel punto la sua richiesta era molto chiara. Ma che diavolo era, una sorta di prova? Tra l’altro perché dovevo rubarla IO? Mentre le domande si affollavano mi venne in mente che avevo in tasca i soldi necessari e quindi manifestai la cosa al mio amico. Non feci in tempo a terminare il concetto che egli in uno scatto prese la gomma esposta se la infilò in tasca e con uno scatto felino uscì dal negozio in un lampo.

A quel punto uscii di corsa anche io e presi a cercarlo nei paraggi, ma di lui nessuna traccia. Di certo quella esperienza instillò in me molto interrogativi. Io che ero stato educato da mamma in stile vittoriano, apprensiva e ligia delle regole non potevo capacitarmi di un comportamento del genere. Oggi guardandomi dal di fuori, per il ragazzino che ero, posso solo sorridere di quanto fossi ingenuo, ben educato e riservato all’epoca dei fatti. Caratteristiche che mi rendevano tutto sommato molto più centrato e deciso di quanto non lo posso essere oggi.

Incipit videoludens – Settimo movimento, il piromane


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Io in sala giochi ci andavo per giocare con i videogiochi ma evidentemente non tutti erano dello stesso avviso. Frequentando per un certo periodo gli stessi ambienti fumosi capitava anche di fare amicizia e di conoscere un ragguardevole numero di casi umani da far invidia a un bestiario medievale.

Un giorno conobbi il figlio del gestore della sala, a prima vista un ragazzino pacato e dai modi educati. Condividevamo la stessa passione per i coin-op in voga in quel periodo.  Lui mirava ai giochi più mentali tipo Tetris o il Mahjong, io ero propenso più all’azione e alla ultraviolenza. Sta di fatto che diventammo amici nel momento in cui si passa per quella fase adolescenziale in cui qualsiasi cosa si ha per le mani può diventare pericolosa, da una penna Bic a uno Zippo.

Improvvisamente un giorno egli tirò fuori da una tasca del bomber un pacchetto di cerini. Pensavo volesse provare a fumare o accendersi un raudo ma la sua mente improvvisò qualcosa di ancora più subdolo. Si era di Maggio in zona del lungomare e fuori dalla sala giochi c’era un bel mucchio di sfiuto di pioppi accumulatosi in un angolo tra una palazzina e l’altra formando una specie di suggestivo manto nevoso.

Di punto in bianco senza dare spiegazioni l’amico con rapido gesto accese il cerino e lo lanciò in mezzo al cumulo che prese fuoco istantaneamente con una fiammata. Non ebbi il tempo di dire nulla che la fiammata si era estinta lasciando sul terreno dei detriti abbrustoliti. Rendendoci conto che nessuno dei passanti si era accorto di nulla, abbassammo lo sguardo cercando di allontanarci il più presto possibile dal luogo del misfatto senza proferire parola. Ritornammo solo a sera quando fummo sicuri che suo padre fosse stato più distratto dall’affluenza di gente nel locale che dall’occuparsi di noi.

Quell’esperienza mi insegnò molte cose. In primis, a non fidarmi delle apparenze, ovvero che se uno gioca a Mahjong non vuol dire che sia per forza un secchione irreprensibile timorato da Dio. Ma anzi credo che egli abbia sviluppato la sua indole criminale anche grazie a puzzle game simili al Mahjong!

Noi che negli anni 80 avevamo i muscoli


Negli anni 80 c’erano un sacco di muscoli per tutti, tanto che bastava che accendevi la tv o andavi in edicola o ti capitava di giocare a un videogame che l’eroe muscoloso era la regola. Viene da pensare che i nostri eroi (prima di suicidarsi) passassero intere giornate in palestra in estenuanti allenamenti. Ma qualcosa deve essere accaduto già da prima … Basti pensare al biondo He-man che affrontava orde di nemici muscolosi anch’essi. Anzi, si può dire che i pupazzetti della serie avessero un corpo muscoloso standard su cui veniva applicata la testa del personaggio e un colore diverso. Per non parlare degli alienati exogini che tra un’orrida invasione e un’altra non mancavano di sfoggiare un fisico iper pompato. Insomma se negli anni 80 se non avevi i muscoli non eri nessuno.

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Da qualche tempo a questa parte qui in paese si è testimoni di una nuova orrenda specie di invasione, qualcosa che in altri tempi non sarebbe mai stato possibile. Qualcosa di orrendo e suggestivo allo stesso tempo; sto parlando della proliferazione selvaggia dei volantini pubblicitari. E io che sono scappato dal mondo civile per barricarmi nella mia fortezza medievale riscopro anche qui orride vestigia del mondo meccanizzato inseguirmi senza sosta.

E’ un destino che ci tocca, noi poveri e disillusi mortali, quello d’essere costantemente informati sull’epoca corrente, sugli sconti e sulle offerte migliori del panorama Grande Distribuzione. Una distribuzione capillare, così capillare da spingersi oltre la leggendaria soglia dei 20 chilometri di distanza dalla metropoli. In compenso ti ritrovi nella posta un pratico pieghevole con le ultime news in quanto a verdure, insaccati e sottaceti!

Ancora più inquietanti di tutto questo sono gli oscuri emissari malpagati delegati alla distribuzione di questo materiale cartaceo non richiesto. Si aggirano in lungo e in largo per il paese come ombre diafane alla ricerca di uno spiraglio dove infilare furtivamente il fardello che portano con loro. Figure traballanti e grottesche ripiegate su sé stesse che invadono e accerchiano il paese, nessuno le considera, nessuno a offrirgli un pasto caldo o una parola di conforto, perché si portano appresso il messaggio dei loro padroni.

Fossimo stati in altri tempi avrebbero sbarrato la porta maggiore e issato il ponte levatoio, versando sulle loro teste tonnellate di pece nera bollente. Ma oggi niente, li lasciano scorrazzare per il paese con il loro carico di miseria fino alla prossima scorribanda.

Attesa infinita


Un giorno mi chiama un mio amico delle medie. Dice che è una vita che non ci si vede e allora perché non andiamo a prenderci un caffè assieme? Io accetto e arrivo bel bello all’appuntamento puntuale come la morte. Spacco il secondo ma di lui manco l’ombra. Maledico allora me stesso per il mio viziaccio di arrivare puntuale agli appuntamenti! Nonostante un’onorata carriera da “aspettatore” ci casco sempre, e arrivo sempre dannatamente in orario.

Credo che nonostante i miei sforzi di arrivare in orario agli appuntamenti solo una o due volte l’altro si sia presentato puntuale a sua volta. Penso sia una cosa a cui non si comanda, come l’amore; anzi, deve essere come un’istinto fuori da ogni controllo. Più sono le premure verso un ritardatario nel raccomandarsi di non arrivare in ritardo, maggiori saranno le probabilità che esso possa effettivamente tardare o addirittura non presentarsi.

Una volta a un’appuntamento mi si presentò un’altra persona che non conoscevo nemmeno. Disse che era dispiaciuto ma l’individuo con cui avevo un incontro non poteva arrivare, forse era morto, probabilmente era stato risucchiato vivo da un frullatore gigante o una cosa simile. Non lo incontrai mai più.