1 metro di pioggia – La saga


Ripropongo qui di seguito nella sua interezza un mio racconto che mi accompagnò per svariati post qualche anno fa sempre sul mio blog. Leggete e godetene tutti!

Il sabato aveva tutti i presupposti per essere un sabato radioso, tranquillo, simpatico e soprattutto asciutto. Il sole illuminava i docili pendii del monte alle nostre spalle mentre si percorreva la statale a velocità sostenuta, muliebri cinguettii di pettirossi ci accompagnavano dolcemente alla nostra meta facendoci sognare di giornate assolate a rotolarci tra gli sterpi. Visioni vagamente pastorali prima di quello che si sarebbe trasformata in un’ecatombe di acqua, terra e fulmini. Sto parlando del mio sabato, passato al bancone di un bar con una birra media aspettando che spiovesse.

Ci stavamo godendo appieno la giornata che si prospettava come splendida. C’era in ballo questo appuntamento a una certa ora al parco sotto un certo gazebo del bar per aperitivo. Arrivati sul posto ci accorgemmo immediatamente che  il baccanale era in pieno svolgimento, la birra scorreva a fiumi il tizio del catering distribuiva pizzette ai presenti come fossero frisbee. Sotto la tettoia del bar era un gran fracasso musicale perché in quel momento avevano incominciato i suonatori, un complesso di guitti con pantaloni corti occhiali da sole e scarpe eleganti da passeggio. Con un’ora e un quarto di ritardo arriva l’amica della mia ragazza con il suo cavaliere visibilmente scosso, pensavo fosse solo un po di stordimento alla vista della mia barba allo stato brado. Invece forse presagiva la situazione che ci si sarebbe profilata di li a poco.

Notavo infatti che con fare furtivo continuava, come un comandante a bordo di una corvetta militare, a scrutare l’orizzonte, a saggiare la densità dell’aria, la direzione del vento. Stavo per chiedergli secondo lui in che direzione era il nord quando incontrai un mio conoscente che quella sera suonava proprio li sotto la tettoia, al ché capii che saremmo rimasti bloccati all’interno della festa finché loro non si fossero esibiti. Ma il buon Dio provvedette in altra maniera. Verso le 20.55 un forte vento iniziò a spirare da nord-est, il comandante di corvetta si era trasformato ora in un moderno Achab, vedeva il male dappertutto, incominciò ad avvisarci con velati messaggi di sventura riguardanti le condizioni atmosferiche. Disse che se le cose non miglioravano di li a cinque minuti se ne sarebbe andato. Disse che a costo di lasciare sola la dolce consorte lui avrebbe levato le tende perché le cose sarebbero volte certamente al peggio. Cercai di sdrammatizzare con una frase tipo Baci Perugina sulle mezze stagioni. Di li a poco scomparve e nessuno più lo vide.

Chiesi a quel punto alla mia lei di allontanarci un secondino dal fracasso della festa per renderci conto meglio delle reali condizioni del cielo che ad una rapida analisi si rivelò plumbeo come la morte e carico di fulmini e saette. Nel mio sfacciato ottimismo dichiarai che non c’era nulla da temere, si sarebbe trattato di un fottuto acquazzone pre-estivo e nulla più, risoltosi in una quindicina di minuti. Nulla di preoccupante quindi. Come in risposta alle mie parole le nuvole al di sopra le nostre teste iniziarono a riversare sulla tettoia litrate di acqua al secondo, le cateratte dei cieli si aprirono con gran fragore sul gazebo. A quel punto ognuno dei presenti iniziò a cogitare una scusa per potersene andare, chi andava a cenare la seconda volta, chi aveva la mamma ammalata scappava in gran fretta, chi aveva il turno serale e quindi proprio doveva lasciarci, la nostra amica decise che sarebbe andata in pizzeria a spararsi una quattro stagioni con picchio pacchio.

Io ero invece dannatamente bloccato dalla promessa fatta al mio conoscente di rimanere, qualsiasi cosa fosse successa! Volevo essere come Acquaman, trasformarmi in una nuvoletta di vapore acqueo e scappare non visto da quella situazione incresciosa. La situazione infatti faceva acqua da tutte le parti, come la tettoia sopra di noi. Iniziò infatti a piovere da ogni lato, dai fianchi e da sopra grazie a delle intercapedini che lasciavano filtrare l’acqua, ci accalcammo tutti come sardine verso il centro del gazebo mentre fuochi e fulmini ci saettavano attorno. Guardai la mia ragazza negli occhi e vidi una patina di disperazione sul suo volto! Decisi quindi per una birra media a testa con patatine.

Mentre mi ingollavo la mia razione di patate pensavo al fatto che ci stavamo perdendo nel flusso cosmico degli eventi, non avevamo a quel punto più presa su accadimento alcuno, sballottati, triturati, avviliti, come eravamo in quel momento. Eravamo alla mercè degli elementi primordiali senza possibilità di ritorno, probabilmente avrebbero trovato le nostre carcasse sotto 12 metri di terra tra un migliaio di anni, antiche e gloriose vestigia di un tempo che fu. Il solo pensiero di uscire all’aria aperta metteva alla mia lei una paura da cacarsi sotto. Ma dopo un’oretta di banco bar decidemmo di uscire ad ogni costo.

Verso la Libertà

Finita la scorta di patatine decidemmo di levare le tende ad ogni costo. Il barista aveva però chiuso accuratamente la porta, ma noi decidemmo pure di forzare il blocco. Il figuro si era dato da fare per barricare ben benino l’uscita e a questo scopo si era impegnato a sbarrare la strada con ogni sorta di materiale che il vento impetuoso gli aveva portato vicino, fusti di birra vuoti, tronchi d’albero, balle di fieno e quant’altro potesse evitare una fuga repentina.

Preso dallo sconforto a quella vista mi venne l’idea di prendere un bambino con il gelato in mano che stava passando accanto al banco in quel momento e usarlo a mò di ariete, non ci avrebbero presi tanto facilmente quindi ma ci avrebbero accusato comunque per maltrattamento di minore. Dopo essermi assicurato della presenza della mia ragazza, decisi per l’azione e allungando la mano al di là del bancone presi un caschetto da ciclista che stava accanto ai bicchieri. Lo calzai ben benino in testa. Il seguito degli eventi si susseguì in maniera forsennata, vuoi per la craniata che detti contro la porta di ingresso vuoi per la birra doppio malto che stava facendo effetto.

Comunque forzare il blocco non fu difficile, iniziai a caricare di gran velocità, riuscii con un balzo a passare i detriti depositati prima dell’ingresso e andai a cozzare in pieno contro la vetrata della porta che si aprì scardinando il lucchetto. Una volta accortasi della presenza di un varco la marea umana del bar iniziò a scalmanarsi d’un tratto. Anche chi mangiava ai tavoli si alzò in tutta fretta per poter uscire, io mi ero già guadagnato il primo posto del varco. Ero in pole e niente mi avrebbe portato indietro.

Allungai un braccio verso la mia lei ma la vidi che si stava liberando dalla presa del barista infoiato, dal passaggio filtrava una corrente maledettamente forte. Con uno strattone liberai la ragazza dalle grinfie del bruto assalitore che come un ragno morto stramazzò a terra con il vassoio a fianco. Feci appena in tempo a gridargli … “DI QUAAAA!” che fummo subito fuori, catapultati verso l’esterno come il risucchio di un immane imbuto.

La Grande fuga

Ci trovammo quindi subito fuori a correr all’impazzata tra la pioggia, cadevano gocce grosse quanto un Chiwawa. Mi vennero allora alla mente due cose: la scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan” durante le prime fasi dello sbarco e la storia del tizio che riusciva a schivare le gocce di pioggia, anche io volevo essere come lui in un momento come questo. Mi vedevo infatti adepto di qualche disciplina orientale, di qualche confraternita segreta, un ninja furtivo e scattante, qualcosa di simile mi venne in mente.

Quello che riuscì ad ottenere fu solo una piccola storta in un’asperità del terreno mentre stavo correndo che mi galvanizzò a tal punto che cominciai a correre più veloce di prima lasciando indietro la mia ragazza. Mi girai ed in lontananza vidi le imposte del bar che avevamo appena lasciato che sbattevano furiosamente al peso della marea umana che stava cercando una via d’uscita, probabilmente  il barista era stato giustiziato sul posto ed ora i vivi pasteggiavano con il suo cadavere ancora caldo.

Girai lo sguardo per scacciare l’orrore quando all’improvviso inciampai su qualcosa di morbido che aveva le fattezze di un torso umano! Caddi in avanti ingoiando terra e detriti. Il torso non era solo un torso, era dotato di gambe e braccia. Probabilmente una goccia di pioggia straordinariamente grande era piovuta dal cielo e aveva fracassato il cranio del poveretto. Ma mi accorsi che il corpo aveva il capo ancora ben saldo sulle spalle.

Il poveretto aveva ingoiato troppa pioggia durante il percorso, ingerendo una tal quantità d’acqua lo stomaco doveva essergli esploso come un gavettone senza arrecargli però alcuna ferita esterna visibile. Il corpo del malcapitato iniziò a muoversi, probabilmente un’ultimo spasmo di morte prima della decisiva dipartita. All’improvviso mentre ero ancora a terra una mano mi afferrò per i pantaloni e mi trasse a sé, vidi la testa del cadavere con le sue labbra avvizzite che si rivolgevano a me con parole gorgoglianti: «… per di là! Prendete il mio mezzo!», e stramazzò al suolo come una merda secca.

Nonostante la pelle avvizzita, il volto cadaverico, le pustole e le varie ecchimosi che gli ricoprivano il viso riconobbi in un baleno lo sguardo terrificante del Capitano Achab! Egli aveva fiutato il pericolo ed era capitato tragicamente al centro della tempesta. In un lampo mi balenò la speranza di salvezza che il Capitano ci aveva donato, la sua morte non sarebbe stata vana. Iniziai a frugare nel suo corpo mentre la mia ragazza mi raggiunse proprio in quel momento, ora la fortuna sembrava deviare bruscamente dalla nostra parte, recuperate le chiavi un nuovo orizzonte di salvezza si sarebbe aperto. Ricominciammo la folle corsa verso l’auto del buon Capitano mentre lingue di fuoco ci lambivano d’appresso.

Ritorno a casa

La dipartita del buon Capitano aveva aperto sui nostri orizzonti strade non ancora percorse caratterizzate dalla felicità di veder palesate or ora le speranze di un ritorno a casa. In poche parole avremmo usato la macchina di Achab per scappare da quel maledetto inferno di acqua e fuoco. Ma se tra dire e il fare c’è sempre di mezzo “e il”, tra la nostra salvezza e la situazione in cui versavamo momentaneamente c’era un mare di merda. Io da parte mia da buon segugio di cacca come sono ero scettico che tutto si fosse concluso in maniera così semplice e spensierata (si fà per dire).

Sentivo ancora il puzzo marcescente della sventura e della disgrazia incombente. L’olezzo della morte era ancora davanti ai nostri passi, qualcosa di molto grosso che ancora non si era palesato.Un’avvenimento imprevisto poteva cambiare in un battibaleno il corso delle nostre vite! Infatti mentre correvo a perdifiato verso il parcheggio pestai una cacca enorme. Finalmente giungemmo al parcheggio che era tutto un pantano visto i litri di pioggia copiosa che stavano cadendo dal cielo, una gran quantità di macchine parcheggiate da far paura si trovavano qui. Io non avevo mai visto l’auto del capitano quindi mi fermai un’attimo per decidersi sul da farsi. Mentre pensavo notai lo stato pietoso del parcheggio, alcune auto stavano sprofondando nella melma, alcune stavano per essere inghiottite come nelle sabbie mobili e versavano in posizione verticale come delle immani baleniere pronte all’affondamento.

In dei punti il fango formava dei terribili gorghi roteanti che risucchiavano persone e ne risputavano le spoglie membra. Una visione raccapricciante di morte e spavento quando mi venne in mente di spingere il pulsantino della chiave per rintracciare l’auto del Cap. Una lucetta arancione baluginò tra la pioggia, presi per la mano la mia ragazza dirigendoci verso quella. Con mio sommo stupore l’auto del Capitano era una lussuosa Mini con tanto di sponsor, sulla sua sommità aveva una specie di enorme lattina messa per traverso, una sorta di totem rituale appartenuto alle antiche civiltà scomparse. Le rune sul totem recitavano a chiare lettere “Red Bull”. Salimmo sullo strano veicolo quando ci accorgendo accendendo i fari che il terreno attorno all’auto era devastato dai cadaveri di quelli che avevano perso la vita nel disgraziato diluvio. Avremmo dovuto passare con l’auto sui loro corpi, ero attanagliato da questo pensiero quando un braccio ruppe il finestrino assestandomi un cazzottone sullo zigomo sinistro. Nel girarmi scorsi la sagoma con il volto tumefatto di una creatura in via di decomposizione che ci stava attaccando, la mia ragazza era già stata tirata giù dal mezzo a suon di strattoni e urlava come una vecchia comare.

D’improvviso un lampo squarciò il cielo mostrandomi il profondo orrore in cui eravamo capitati, tutto intorno a noi le creature dell’oltretomba sciamavano dalle profondità dell’Inferno verso di noi, con passo insicuro e malfermo l’orrenda guarnigione della putrefazione si apriva la strada tra la terra, tra le zolle di terriccio e tra le pietre, ed erano solo per noi, erano giunti per scannarci e fare di noi il loro pasto. Possibile che il buon Achab ci avesse condotto in questo delirio di morte e disperazione? Dannai l’anima sua pensando a come vendicarmi quando una creatura mi spinse con tutta la forza di nuovo dentro il mezzo mentre cercava di mordermi il polpaccio. Inavvertitamente spinsi con il gomito un pulsante ben in vista sul cruscotto e il suono di un subitaneo scatto giunse al mio orecchio. La mia ragazza mentre combatteva con la sua creatura mi fece cenno con il dito! Qualcosa si era staccato dal mezzo. Sferrai un calcio in testa al morto che mi stava minacciando e mi sporsi all’esterno per scrutare quello che stava accadendo.

Il grosso totem cilindrico si era staccato dal tetto del mezzo ed era franato a terra con un gran tonfo, spezzandosi in due tronconi dal suo interno era iniziato a fluire fuori un terribile liquido dolciastro dall’odore insopportabile. In pochi secondi aveva già formato una grossa pozzanghera che aveva corroso la vegetazione circostante. In un baleno alla vista del liquido le creature iniziarono straordinariamente ad indietreggiare come impaurite, uno di loro sommerso dal liquido fino alle caviglie iniziò a contorcersi in spasmi prolungati di dolore mentre il liquido gli corrodeva i piedi, un fumo pestilenziale saliva dal corpo mentre il misterioso fluido faceva il suo terribile effetto.  Il gruppo si stava ora disperdendo. Come in preda ad una orrenda follia, i sinistri emissari dell’oltremondo ci stavano abbandonando. Tutto grazie al liquido infame. A quella vista strattonai per un braccio la mia dolce metà per riportarla in auto, premetti l’acceleratore a tavoletta e scappammo su per la statale imbarcando tre o quattro bestie.

Siamo fatti così? …


The_minions_in_Minions

Nel variegato panorama umano con cui spesso mi capita di interagire incontro non di rado personalità all’apparenza dotate di una certa solidità superficiale, spesso di uno spiccato senso pratico, che si fregiano di caratteristiche quali spontaneità, veracità, solarità, onestà di giudizio e altre che ad una rapida occhiata possono essere ritenute proprie di una persona tutta d’un pezzo, combattiva e reattiva. Una regola non scritta vuole che una persona di questo tipo esperisca il proprio temperamento in barba a chi gli sta intorno, quasi come se questi, in virtù del fatto che la personalità dominante si stia manifestando si sentano in obbligo di fargli fare o dire quello che essa voglia.

Mi riferisco a sparate del tipo: ” … che vuoi, io sono fatto così“, o “io le cose le dico in faccia!“, e via dicendo su questo tenore. Tutte espressioni messe in atto quasi a rimarcare il fatto che ci sono cose che non si possono dire, cose che non si possono fare, ma io in barba alle regole convenzionali, trovandomi in una posizione di superiorità assoluta, le sbatto in faccia al malcapitato di turno in più lodandomi per questo. Tutto questo ovviamente presuppone una ingenuità da parte del nostro ipotetico campione di sincerità che, in primis, si ritiene il detentore della Verità assoluta in merito a qualsivoglia argomento. Secondo, presuppone che certamente il suo interlocutore non sia arrivato alla medesima conclusione. Si sente quindi in diritto di sbandierare le proprie opinioni anche offendendo e dileggiando il prossimo.

Con questo atteggiamento volto alla reazione emotiva di solito riesce a catalizzare l’attenzione degli altri e non di rado a farne suoi strenui sostenitori. Mi salta subito all’occhio l’evidenza che egli sia invece schiavo delle sue reazioni incontrollate, che a seconda dei casi riveste di aggettivi come onestà, schiettezza, sincerità ecc … reazioni che scarica abusivamente sul prossimo di turno nel tentativo di trarlo dalla sua parte facendo leva sulla propulsione emotiva da lui emanata. Dalla sua schiera di seguaci inoltre egli trae energia per confermare di volta in volta le sue argomentazioni. Argomentazioni che da ora in poi saranno promulgate con fervore anche dai suoi fedeli minions che agiranno come forza congiunta. E così in un loop infinito!!!

Insomma ho fatto un gran casino con sto articolo ma spero che se ne capisca il senso, d’altra parte io non ho minions al mio servizio.

Incipit videoludens – Terzo movimento


Space Ace

Ci sarebbe comunque da scrivere un reportage per ogni sala giochi che ho frequentato. Hanno tutte le proprie storie e i propri aneddoti, in una città poi, come la mia, dove avevano attecchito parecchio. La mia vita da videogiocatore si svolgeva in una sorta di “trasfert”. A casa ero un ragazzino di media cultura, ben educato e ben nutrito.

Una volta in sala giochi lasciavo alle spalle la mia identità per trasformarmi in una macchina da arcade! Ma non solo io, ma tutti quelli che come me avevano la passione per i cassoni della “sala”.

Oltre alle sale giochi vere e proprie si poteva giocare per esempio nei “bar” che si erano arresi alla torbida logica dei passatempi videoludici. A quanto pare rendevano parecchio e alcuni locali sacrificavano parte dell’arredo interno, come vecchie madie in legno pregiato o antichi vasi della dinastia Ming per far spazio a questi cassonetti elettronici dal gusto discutibile. C’era poi chi era stato costretto a vendersi mezzo locale per acquistare le propria rosa di giochi.

In ogni caso giocare in sala giochi e nel bar erano due esperienza totalmente differenti. Al bar c’erano le “compagnie” composte da individui che in gran parte se ne fregavano dei videogiochi, al massimo ci scappava qualche partita al Tetris aspettando la tipa per pomiciare. Queste persone erano semplici “avventori” del luogo che si ritrovavano al Bar per poi partire per altre scorribande. Io invece ero un “giocatore” nella più classica accezione del termine, ero un uomo con una missione!

Nessuno poteva fermarmi, non mi trovavo li per semplice svago ma per adempiere ad un destino! In realtà ero sempre super-occupato con qualche gioco del momento e poco mi curavo della realtà fenomenica che mi attorniava. Sarebbe potuta venirmi incontro una strafiga con le tette al vento e probabilmente sarei rimasto immutabile a giocare a Space Ace.

Incipit videoludens – Secondo movimento


Chase-hq

Se getto uno sguardo indietro verso la mia carriera di videogiocatore da sala giochi credo di essermi perso dei giochi degni di nota ma di aver allo stesso tempo cavalcato alcune mode del momento. Per quello che riesco a ricordare la mia evoluzione iniziò da piccolo, anzi parecchio piccolo. Mia madre infatti deve avermi proposto di giocare in un bar, o qualcosa del genere. Forse non sapendo più che pesci pigliare con me.

Ricordo però il luogo della mia prima partita. Si trattava di un bar, un tempo considerato malfamato, (e che in seguito ha goduto invece di un’epoca aurea di fighettismo), frequentato da impareggiabili nottambuli e alcolizzati mattutini. Dovevo essere molto piccolo in quanto ricordo che seduto sullo sgabello i piedi non toccavano terra.

In ogni caso la responsabilità di tutto quello che avvenne dopo è da attestarsi su mia madre che diede il via al viaggio verso i tetri abissi del videogame. Vaghe rimembranze e ricordi frammentati riguardo il primo gioco in assoluto, era certo però un gioco con degli ascensori e degli omini che si spostavano da un livello ad un’altro. Il tutto molto cubettoso. Gli avventori erano dei più disparati, dall’amico blasfemo, ad altri ragazzi sempre più grandi di me. Deve essere allora che imparai ad apprezzare il gusto delle amicizie con persone più grandi. C’era sempre qualcuno alle macchinette, e se finivo i gettoni mi mettevo a guardare la partita di un’altro. All’epoca usava così, infatti non era raro incontrare un capannello di gente attorno al gioco del momento che osservava con sguardo meravigliato le gesta eroiche del giocatore più cazzuto!

In questo bar ho mosso i miei primi passo alle prime gloriose partite. All’epoca andavano di moda gli arcade sparatutto con visuale dall’alto con per protagonista la navicella o l’elicotterino di turno a fronteggiare orde di nemici che spuntavano da tutti i cantoni. Bisognava essere lesti con i pulsanti e si rischiava il crampo o la sindrome da tunnel carpale ogni volta che si affrontava una partita. C’erano giocatori molto abili che riuscivano a spingere il pulsante una media di 36 volte al secondo. Era una sfida molto “fisica” all’epoca. Ogni tanto si vedeva un cassone rattoppato alla meno peggio per colpa degli strattoni o dei calci che il giocatore sferrava durante il gioco, e c’era chi andava appositamente con le Cult dalla punta d’acciaio per fargliela pagare!

Incipit videoludens – Primo movimento


Sala giochi

Incalzato anche dal mio amico Prof. Pirkaf, che non perde occasione per trascinarmi di forza nel mio passato videoludico con attacchi reiterati,  voglio spendere due parole in ricordo dei bei tempi andati spesi nella sala giochi sotto casa, pensando anche a che cosa sono diventate oggi le sale giochi di tutto il mondo: dei luoghi senza Dio abitati da anime perse alle prese con micidiali macchinette.

Tutto si mischia in maniera indistinta tra le nebbie del tempo quando i pantaloni avevano la vita alta e le tasche erano tanto profonde e utili per contenere tanti gettoni. Ai miei primordi videoludici i gettoni costavano 200 lire, quindi con 1000 lire ti sparavi 5 partite. Poi avevi due opzioni: c’erano i coin op in cui inserivi direttamente le 200 lire, oppure dovevi andare al banco che ti cambiavano i soldi in gettoni.

Ogni sala giochi aveva i suoi gettoni anche se io quando mi avanzavano quelli di un’altra provavo a scassinare tutto il blocco inserendone uno che in effetti non ci poteva fisicamente entrare. Lo scassinamento durava poco perché appena armeggiavo con il cassone solitamente il conseguente rumore di monetine smosse non passava inosservato. Vorrei poi spendere due parole su un avventore particolare che molto spesso occupava il gioco del momento. All’epoca anche i giochi più idioti erano presi sul serio e c’era questo tizio, che fu per me una specie di mentore inconsapevole, che mi insegnò a tirar giù tutto il rosario con angeli arcangeli e cherubini. Lui era un fottuto genio, aveva l’arte nelle mani e la tecnica sulla manopola, riusciva a districarsi nei platform più complessi e astrusi e magari dopo perdeva una vita per una cagata di piccione. E quindi giù bestemmie! Dava pugni e calci sul cassone creando dei concerti incredibili a beneficio degli astanti.

A un certo punto, siccome lui era bravo, sono arrivato a credere che più si bestemmiava più riuscivi meglio nel gioco, ma a me non funzionava mai. Non riuscivo a concentrarmi su due cosa in contemporanea. Non ho mai saputo il nome di questo personaggio ne ho mai cercato un qualche tipo di approccio con lui. Scoprii solo in seguito che abitava vicino casa mia. Lo rincontrai parecchio tempo dopo con moglie e figli a seguito. Chissà che ne è stato della sua stratosferica abilità alla manopola  e del suo piglio deciso a suon di bestemmioni ora  che ha assunto l’aspetto del buon borghese.

Attesa infinita


Un giorno mi chiama un mio amico delle medie. Dice che è una vita che non ci si vede e allora perché non andiamo a prenderci un caffè assieme? Io accetto e arrivo bel bello all’appuntamento puntuale come la morte. Spacco il secondo ma di lui manco l’ombra. Maledico allora me stesso per il mio viziaccio di arrivare puntuale agli appuntamenti! Nonostante un’onorata carriera da “aspettatore” ci casco sempre, e arrivo sempre dannatamente in orario.

Credo che nonostante i miei sforzi di arrivare in orario agli appuntamenti solo una o due volte l’altro si sia presentato puntuale a sua volta. Penso sia una cosa a cui non si comanda, come l’amore; anzi, deve essere come un’istinto fuori da ogni controllo. Più sono le premure verso un ritardatario nel raccomandarsi di non arrivare in ritardo, maggiori saranno le probabilità che esso possa effettivamente tardare o addirittura non presentarsi.

Una volta a un’appuntamento mi si presentò un’altra persona che non conoscevo nemmeno. Disse che era dispiaciuto ma l’individuo con cui avevo un incontro non poteva arrivare, forse era morto, probabilmente era stato risucchiato vivo da un frullatore gigante o una cosa simile. Non lo incontrai mai più.

Anime affini


Tutto iniziò una piovosa serata di metà Ottobre. Il cielo costellato di pesanti nuvole, lampi squarciavano l’orizzonte e io dalla mia posizione privilegiata a scrutare le anime perse disperdersi alla ricerca di un riparo per la notte.

Passavo con un gesto mentale in rassegna le mie gloriose vicende da giocatore di ruolo, una volta nei panni di un possente barbaro delle terre selvagge, un’altra volta in quelli di un colto e raffinato Elfo Silvano dei boschi.

Io, un tempo valoroso avventuriero al soldo del signore locale intento a sbaragliare ondate di orchetti e bugbear, ora costretto a rimuginare il mio passato, relegato alla mia crepuscolare esistenza di giocatore ai margini della comunità. Chissà quando avrei potuto rimembrar ancora gesta valorose e pulzelle in pericolo!

Improvvisamente suonarono alla porta. Sulle prime pensai a un testimone di Geova ma vista l’ora tarda esclusi l’ipotesi. Afferrai quindi il tagliacarte sul tavolo accostando l’orecchio al portone. Poi la mia ragazza mi disse che avevamo ospiti per cena e riposi il tagliacarte. All’inizio pensai di trovarmi di fonte la solita coppietta della serie “anche noi abbiamo un pargolo della stessa età del tuo quindi sfanghiamo la serata assieme”. In realtà gli ospiti si dimostrarono una compagnia davvero piacevole anche per me che di solito parto da posizioni molto critiche in quanto a vita sociale e a divertimenti generalisti.

Poi c’era il fatto che in questi giorni avevo involontariamente disseminato la casa di materiale ruolistico stile fantasy medievale e anche qualcosa di spiccatamente fantasy-manga. Stavo infatti accarezzando l’idea di fare una cernita del tutto per qualche non ben identificato scopo. Sta di fatto che finita la cena il tipo mi dice: “Ma a te piacciono i giochi di ruolo?”. Io con tono di sufficienza gli rispondo che sì – ogni tanto non disprezzo una partitella, se non altro per ricordare i bei tempi andati ma che ora il poco tempo a disposizione e la piccina mi impediscono di trovare gente con cui condividere questa passione – e cerco di glissare l’argomento evitando particolari incresciosi.

Lui mi dice che anche lui giocava un tempo e che in particolare era innamorato di Hero Quest, questo gioco che lui ricordava come una cosa immane. Un gioco di proporzioni epiche con tante miniature e robe varie … Alla parola HeroQuest io salto dalla sedia perchè in vita mia non mi era mai capitato di trovarne un’estimatore proprio dentro casa mia! Una cosa grandissima! Qualche strana congiunzione celeste a noi sconosciuta doveva verificarsi proprio ora, sopra le nostre teste. Esseri macrocefali di altre dimensioni probabilmente stavano tessendo una trama involontaria. Uomini o meta-umanoidi che pilotavano grottesche navicelle da combattimento stavano per sciamare sulle orbite terrestri pronti  a cambiare il destino dei nostri destini. Una cosa più unica che rara un’anima affine … Decidemmo quindi per un Remember HeroQuest!

The Frozen Horror – prima parte – Il trasloco della paura!


Prima di risiedere nel nostro ridente paesello abitavamo anche noi nella fumosa metropoli del centro italia. Poi abbiamo deciso per la svolta: percorrere 15 chilometri al giorno prima di giungere alla fumosa metropoli. La parte più spaventosa di tutto questo è stato il trasloco immane che abbiamo dovuto porre in atto. Ecco qui narrate le vicende in tutta la loro rivoltante bellezza.

Siccome noi due né il nostro più stretto parentado aveva la più pallida idea di come solo si scrivesse la parola “trasloco” abbiamo quindi fiduciosi affidato il tutto a una di quelle pseudo-agenzie per il trasloco. L’agenzia consisteva in due traslocatori professionisti e un camioncino affidatogli dal campo base. Sfortunatamente per noi le condizioni meteorologiche non erano dalla nostra. Una funesta nevicata si era abbattuta proprio sul nostro paesino di destinazione, vanificando forse tutto il trasloco. Il paese si era trasformato in una specie di brutale antro del terrore ghiacciato dove i vivi pasteggiavano con i morti e i bimbi facevano pupazzi di neve usando le frattaglie come addobbo.

Eravamo rimasti d’accordo con i due omini che nel qual caso il tempo si fosse sistemato ci avrebbero avvisato preventivamente lasciandoci un margine per organizzare la spedizione con le catene da neve. Un giorno improvvisamente ci svegliano alle sette del mattino annunciando che loro erano già partiti con il camion, con le catene montate e che anche noi dovevamo partire subito. Presi dallo sconforto ci ritrovammo subito nel panico più nero. Dovevamo ancora montare le catene della vettura e la mia ragazza doveva ancora avvisare il comune per chiedere se il camion con la roba sarebbe riuscito a passare sotto la porta storica del borgo o se si fosse frantumato contro le ultime vestigia medievali causando morte e distruzione …

fine prima parte