Stamattina mi sono svegliato di soprassalto con il cuore in gola e grondante di sudore. Ero appena uscito da un incubo, la funesta visione di uno dei miei più terribil persecutori nell’età dell’adolescenza. Era tutto molto realistico: il simpatico aguzzino cercava come allora di traviarmi e di trascinarmi tra le profonde spire demoniache o di farmi esasperare come solo lui sapeva fare.
Si perchè ho sempre avuto sto amico che dalla prima elementare mi rompeva giornalmente le scatole. In realtà non ho mai capito se gli fossi realmente simpatico o mi detestasse, era una sorta di mio alter ego alla rovescia. Se non fosse stato per lui probabilmente ora sarei come Roberto Carlino. Avrei voluto spazzarlo via dalla mia esistenza ma la mia educazione appena forgiata aveva per la maggior parte delle volte il sopravvento. Più cercavo di evitarlo, più mi si appiccicava come una cozza. Più non lo imitavo più lui continuava a istruirmi sulla via della perdizione.
Tral’altro a me son sempre stati antipatici quelli che prima ti umiliano poi fanno sfoggio del loro lato umano, compassionevole, cercando in qualche modo di riparare. Insomma era una vera piattola in tutti i sensi. Poi un periodo prese a venirmi a prendere a casa … Alla mattina puntuale come la morte alle 7.15 il suo squillo era inconfondibile, si svegliavano anche i vicini. Arrivava parcheggiando di sgommata nel mio giardino e si attaccava al campanello come un forsennato fino a quando qualcuno non gli apriva o non gli gettava dell’orina calda addosso.
Ma la cosa più tragica è che lui si trascinava tutte le mode adolescenziali addosso e di consenguenza anche io. Se lui comprava il Bomber, allora anche io dovevo assolutamente possederlo; se a lui piaceva il Winchester, allora doveva assolutamente piacere anche a me. Se non mi fossi deciso per qualche acquisto in quel periodo ci avrebbe pensato lui a comprarmi qualcosa visto che considerava qualsiasi cosa della vitale importanza. Ero il suo braccio destro!
Poi arrivò il giorno in cui decise di giocare a frisbee con un piatto decorato di mia madre. Lo staccò con nonchalance dal muro e me lo lanciò addosso quasi fosse rovente. Non feci in tempo a staccare le mani dall’ albatros che già il piatto era franato rovinosamente a terra in mille pezzi sotto i nostri sguardi allibiti. Ricordo che mia madre avvisò tempestivamente i suoi genitori che proposero di fargli ripagare il prezzo del disastro che aveva combinato depennandogli sistematicamente la paghetta settimanale. Da quel giorno lo rividi altre volte, continuammo a frequentarci ancora per un po’. Poi improvvisamente sparì dalla mia vita. Probabilmente condotto in Siberia per i lavori forzati, non seppi più nulla di lui.